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venerdì, gennaio 27, 2006

Perchè Josè Mourinho è un Vincente
Tra le sue mille qualità non rientra la simpatia, questo è poco ma sicuro. Sorride raramente, ogni volta che apre bocca è una sentenza contro qualcuno o a favore dell’uomo da lui più amato, ossia egli stesso. Ma così come un giocatore va valutato per il suo rendimento all’interno del rettangolo verde, alla stessa stregua un allenatore va giudicato per come fa giocare le sue squadre e per quello che vince. E quando i dati diventano oggettivi, anche i detrattori sono costretti ad arrendersi e ad ammettere che se esistesse un corrispettivo del Pallone d’Oro per i tecnici, quello del 2004 e quello del 2005 sarebbe dovuto andare a José Mourinho.
Figlio di Felix, ex portiere del Vitoria Setubal, José ama raccontare che già a 15 anni la sua testa era abitata da un’unica ossessione: quella di fare l’allenatore. Chi lo conosce bene sostiene che quella che agli altri appare presunzione e arroganza altro non è che un modo per compensare la modestia che impedì al papà di avere la carriera che forse avrebbe meritato. Fin da bambino, seguendo il genitore, che una volta smessi i panni di portiere prova a intraprendere la carriera di tecnico, respira l’atmosfera dello spogliatoio e da adolescente comincia a redigere rapporti con le caratteristiche dei vari calciatori.
Il papà ammira questa sua capacità e ben presto lo spedisce a seguire le squadre avversarie. Intanto prova anche la strada del calciatore, un terzino vecchia maniera, ma in quel contesto Mourinho è consapevole di non poter superare la soglia della mediocrità. I genitori insistono per fargli prendere il diploma ma lui si iscrive all’Isef di Lisbona, divora gli esami, comincia ad allenare le giovanili del Vitoria e nel frattempo vola in Scozia per prendere il patentino di tecnico Uefa. Ora i titoli ci sono, manca una squadra che gli offra l’opportunità per dimostrare le sue capacità.
L’occasione arriva nel 1992, quando diventa assistente di Bobby Robson, tecnico fondamentale per la sua formazione, allo Sporting Lisbona. Inizia allora la stesura della Bibbia di Mourinho, un taccuino dove trascrive relazioni dettagliate di tutte le sedute di allenamento e che ancora oggi il tecnico continua ad aggiornare. Nel 1996 Robson approda al Barcellona e José lo segue; l’anno successivo i catalani affiancano loro un certo Van Gaal, l’altro allenatore da cui Mourinho sostiene di aver appreso molto.
Quando Robson lascia il Barça il portoghese resta al fianco dell’olandese fino alla stagione 1999/2000. Ma ormai José è un tecnico a tutti gli effetti e il ruolo di secondo gli va stretto. Per questo accetta di corsa l’opportunità offertagli dal Benfica, ma la sua esperienza, a causa del cambio di potere in seno alla società, dura la miseria di nove partite, ma qui ha la possibilità di conoscere ed apprezzare le capacità dei giovani Maniche e Deco, poi colonne del suo Porto Padrone d'Europa.
Mourinho non è però uno che si arrende, e ricomincia dall’Uniao Leira, squadra che trascina al quarto posto quando, nel 2001, arriva la chiamata di un Porto in piena crisi. Il resto è storia recente: in poco tempo, grazie alla formula “Motivazione+organizzazione+spirito di squadra=successo”, riorganizza prima il club e poi la squadra rendendola vincente. Nel 2002/03 conquista la Coppa Uefa e lo scudetto, l’anno successivo addirittura conduce i biancoblu sul tetto d’Europa trionfando in Champions League. Successi che attirano la curiosità di Abramovich che, per averlo al Chelsea, non bada a spese.
In Inghilterra Mourinho si rimette in discussione sotto ogni aspetto. Calcisticamente parlando dimostra di meritare la stima e l’ammirazione che lo circondano. Non è semplice infatti trasformare un gruppo di grandi campioni in una squadra, eppure Mourinho ci riesce in pochi mesi, dando ai Blues un’identità ben precisa. Per farlo arriva a mettere in discussione il suo credo tattico; il 4-4-2 che aveva reso grande il Porto non è applicabile al Chelsea per la mancanza degli uomini giusti al posto giusto. Mourihno punta così sul 4-3-2-1, o 4-3-3 che dir si voglia, modulo che trasforma i londinesi in una macchina da gol in fase offensiva ma anche in un insuperabile baluardo in difesa. Se un appunto gli si può muovere, è che le sue formazioni non divertono, concetto assolutamente soggettivo, visto che vincere tutte le partite alla fine sazia il palato anche del tifoso più esigente. Boria o non boria, Mourinho continua a vincere. Se qualche volta riuscesse anche a sorridere sarebbe perfetto. Ma forse non sarebbe più Mourinho e il calcio avrebbe un eroe positivo in meno.

1 Comments:

  • At venerdì, gennaio 27, 2006 9:01:00 PM, Blogger Andrea De Pirro said…

    un solo appunto ai tuoi post sempre ben scritti. Un buon blog funziona quando aggiungi link alle cose di cui parli o da cui prendi spunto per scrivere. Ad esempio quando scrivi Van Gaal sarebbe fico se ci fosse un link alla pagina di wikipedia che parla di Van Gaal

     

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